BREVE INTRODUZIONE: "Persephone" è un'opera musicale scritta nel 1933 da Andrè Gide, scrittore e poeta francese, e musicata da Stravinskij. Il tema riprende il mito greco del rapimento di Persefone, o Proserpina, per opera di Plutone, re degli Inferi; ma Gidè ha voluto integrare la vicenda con nuovi elementi, molti di derivazione cristiana, come il fatto che la fanciulla abbia voluto spontaneamente scendere nell'Ade per consolare i tristi abitatori del mondo sotterraneo (proprio come Gesù Cristo si è sacrificato, facendosi crocefiggere, per salvare le persone dal peccato). L'opera è sotto forma di dialogo, a cui prendono parte la stessa Persefone, sua madre Demetra, Eumolpo (sacerdote appartenente alla stirpe degli Eumolpidi nonché colui che ha istituito il culto dei Misteri Eleusini), Plutone, le ninfe, ed infine le anime dannate dell'Oltretomba. Inoltre il melodramma è diviso in tre atti: nel primo, Persefone scende nel regno delle ombre, nel secondo si parla di come ella rimpianga ciò che ha lasciato sulla terra, mentre nell'ultimo vi è la sua risalita alla vita terrena. I. PERSEFONE RAPITA Si comincia con Eumolpo, che nel testo ha la funzione di narrare e commentare l'azione dal di fuori, come officiante che presiede a una sacra, invocante la dea Demetra: "Dea dai mille nomi, potente Demetra che copri di messi la terra dispensatrice del frumento…" Demetra è chiamata dea dai mille nomi in quanto per gli antichi Romani era Cerere, ma veniva anche denominata "Madre Terra"(che copri di messi la terra) e "Madre orzo e grano"(dispensatrice di frumento). "Celebriamo qui i tuoi misteri davanti a tutto questo popolo riunito. E' alle ninfe che tu affidi Persefone la figlia preferita che porta la primavera sulla terra e che ama i fiori delle praterie. Come ella ti fu rapita è ciò che ci racconta Omero." Il popolo citato è probabilmente il gruppo di persone che prendevano parte alla celebrazione dei Misteri Eleusini. I fiori di cui si parla sono gli stessi presenti nelle Metamorfosi di Ovidio. Infatti Ovidio dice che quando Plutone rapì la fanciulla, dalla tunica di lei caddero molti fiori, che aveva da poco raccolto. Il cadere dei fiori, sempre secondo l'autore, toccò profondamente Persefone in quanto ancora adolescente. Inoltre Gide nominando Omero vuole riferirsi agli Inni Omerici, complesso di 34 inni tra i quali ritroviamo quello che narra il mito di Demetra. All'invocazione di Eumolpo risponde il coro che nella prima e nella terza parte rappresenta il popolo delle ninfe cui Demetra ha affidato Persefone mentre nel secondo sembrerebbe prendere la parte di Plutone. Si potrebbe quindi assicurare che il coro ha anche la funzione di raffigurare i due mondi, quello terrestre e quello infernale, nei quali si svolge la vicenda. Il coro incita Persefone a restare sulla terra "Resta, resta con noi, resta con noi, Principessa Persefone. Resta con noi, tua madre Demetra, Regina della bella estate, Ti ha affidata a noi tra gli uccelli e i fiori, I baci dei ruscelli, le carezze dell'aria; Vedi il sole che ride sull'onda! Resta con noi, resta con noi, Principessa Persefone. Resta con noi nella beatitudine. È il primo mattino del mondo." Persefone è chiamata principessa perché sua madre Demetra era la regina della terra. Come mai Gide dà a Demetra l'appellativo di "regina della bella estate", se al tempo le stagioni non erano ancora nate poiché sono conseguenza del rapimento di Persefone? In questa e in altre strofe si ripete la frase "E' il primo mattino del mondo". Probabilmente il rapimento di Persefone avviene durante la nascita del mondo. Durante la narrazione Eumolpo descrive lo strano potere di un fiore, il narciso "Di tutti i fiori di primavera il narciso è il più bello. Chi si china sul suo calice, chi respira il suo profumo vede il mondo sconosciuto degli Inferi". L'autore in questo caso si riferisce alla leggenda beotica, e precisamente di Tespie secondo la quale il fiore possiede un'acuta fragranza che è in grado di stordire. Il fiore compare frequentemente nel rituale della religione greca, specialmente in rapporto alla morte e all'oltretomba. Incerto appare il significato originale del mito, che del resto non raggiunse la sua piena elaborazione se non in età Alessandrina: nel giovane Narciso che, stando sulla sponda della sorgente, piega il capo verso l'acqua fino a vedervi riflessa la propria immagine, si volle vedere il simbolo del bel fiore che, cedendo all'attrazione dell'acqua piega il suo stelo verso questa, finché muore e vi cade. La successiva strofa pronunciata da Persefone si sviluppa cosi: "Vedo sui prati cosparsi d'asfodeli aggirarsi lentamente le ombre. Esse vanno, lamentose e fedeli. Vedo errare tutto un popolo senza speranza sbiadito, inquieto, triste". Nella prima frase vengono citati gli asfodeli, piante che vivono nei campi incolti. Il pallido colore dei fiori associò l'asfodelo, nella fantasia dei Greci, col regno dei morti; secondo Omero le ombre dei trapassati si aggirano nell'Ade su prati di asfodelo (Odissea XI, 539- 573). Si credeva anche che i morti se ne cibassero; le radici erano considerate dai Greci cibo parco ma nutriente. Troviamo gli asfodeli anche nei versi di D'Annunzio "Le ombre s'avanzavano sul prato asfodelo…". Il "popolo senza speranza" visto da Persefone in questa strofa è quasi sicuramente il popolo degli Inferi. Successivamente, impietosita alla visione dei trapassati, Persefone decide di andare nell'Ade per portar loro un po' di conforto. Così termina il primo atto del melodramma: "Ninfe, sorelle, affascinanti compagne, come potrei con voi, d'ora in poi, ridere e cantare, spensierata, ora che ho visto, ora che so, che un popolo insoddisfatto soffre e vive nell'attesa". II. PERSEFONE AGLI INFERI All'inizio del secondo atto avviene il passaggio di Persefone nell'Ade. Esordisce la stessa principessa "Oh popolo doloroso delle ombre, tu mi attiri! Verso di te…il andrò…" Da queste parole si comprende l'atto volontario di Persefone di recarsi nell'oltretomba. Ciò è in contrasto con il mito raccontato da Ovidio nelle Metamorfosi dove Plutone rapisce con la forza Persefone. Dopo aver parlato Persefone si china sul narciso e sviene. "Fu così, ci racconta Omero che il re degli inverni, che l'infernale Plutone rapì Persefone a sua madre e alla terra la sua primavera". Le parole di Eumolpo già ci annunciano l'effetto del rapimento di Persefone, il cambiamento delle stagioni, attribuendo a Plutone l'appellativo di re degli inverni e paragonando Persefone alla primavera. In questo atto il Coro personifica con alternanze non regolari Plutone e il popolo delle ombre. Quando Persefone si sveglia e chiede in che posto fosse finita le ombre le rispondono "Qui nulla si compie; qui ciascuno insegue ciascuno insegue senza tregua ciò che scorre e fugge." L'assenza dello scorrere del tempo nell'Ade induce le ombre alla ricerca di qualunque cosa scorra e che quindi ricordi il tempo. Ancora le ombre: "Attente sulle rive dell'eternità verso le onde poco profonde del fiume Lete taciturne nelle nostre urne attingiamo a turno quest'acqua vana delle fontane che sempre svanisce. Nulla si compie; ciascuno insegue senza tregua tutto ciò che fugge." Nella mitologia greca il fiume Lete è il fiume infernale le cui acque venivano raccolte dai morti nelle urne per spegnere la sete. Le acque del Lete avevano il potere di far dimenticare la vita terrena alle anime che le bevevano. In questa parte, vediamo che il coro rappresenta Plutone e che comincia un vero e proprio dialogo tra la fanciulla e il re degli Inferi. Persefone è preoccupata per le anime dei dannati, costretti a vagare per l'eternità per le terre desolate del Tartaro, e cerca di portar loro felicità. Ma Plutone immediatamente le ricorda che le anime non possono essere considerate felici o infelici giacché prive di sentimenti "Le ombre non sono infelici.Senza odio e senza amore, senza pena e senza desiderio esse non hanno altro destino che ricominciare senza fine il gesto incompiuto della vita…" Esse, infatti, secondo la mitologia, dovevano reincarnarsi in altri corpi fino a quando non si erano purificate. L'unica gioia per le anime era portata dal ricordo della vita terrena. Plutone invoca continuamente Persefone: "Parlaci, parlaci della primavera". Eppure, si può ben notare dal testo che Persefone, nel rispondere, rimpianga anche il fatto di aver lasciato sua madre Demetra. E' quest'uno dei tanti elementi che evidenziano la scelta di Gide nel affermare che Persefone sia scesa negli inferi spontaneamente. "Oh madre Demetra, com'era bella la vita quando il suono amoroso del nostro riso mescolava alle spighe d'oro fiori, e profumi al latte. Lontano da te, Demetra, io, tua figlia smarrita ammiro nel corso senza fine dell'unica giornata nascere pallidi fiori, su cui il mio sguardo si posa i bordi grigi del Lete ornarsi di bianche rose. E, nell'ombra della sera, le ombre incantarsi all'incerto riflesso d'una sotterranea estate." Adesso che Persefone è nell'Oltretomba può esserci la primavera anche sulla terra. E' però una primavera caratterizzata da colori spenti. "L'unica giornata" rileva l'assenza del tempo nell'Ade che lascia il posto all'eternità. Continua quindi l'invocazione di Plutone, fino a che non interviene Eumolpo che rimprovera Persefone: "Tu vieni per dominare non per impietosirti, Persefone. Non sperare di poterti mostrare pietosa. Nessuno, nessuno, foss' anche Dio, può scampare al Destino; il tuo destino è di essere regina. Accetta. Accetta. E per dimenticare la tua pietà bevi questa coppa di Lete che ti offrono gli Inferi con tutti i tesori della terra." Persefone è ripresa dal sacerdote perché il suo atteggiamento nei riguardi delle anime è troppo pietoso: al contrario, lei dovrebbe comandarle invece che aiutarle, ne deve essere la regina. La stessa cosa la possiamo ritrovare in Claudiano nel suo "De raptu Proserpinae", dove è lo stesso Plutone ad offrire il potere a Persefone. Inoltre, la presenza di Dio nelle parole d'Eumolpo riporta l'ascoltare al mondo cristiano e lo allontana per un attimo dalla realtà pagana dell'opera. Ma Persefone rifiuta il suo ruolo di regina negli Inferi, e preferisce la sua primavera ("fragile fiore") all'oltretomba ("pietre preziose"). Plutone non accetta la scelta di Persefone e chiama Mercurio per distoglierla dal voler ritornare alla vita terrena. Qui, Mercurio è considerato come guida delle anime nell'Ade. Poi interviene nuovamente Eumolpo: "Persefone confusa si nega tutto ciò che la seduce. Tuttavia Mercurio spera che in ricordo di sua madre saprà tentarla un frutto, un frutto che vede pendere al ramo che si china sopra la sete fatale di Tantalo…" In questo momento appare Mercurio, messaggero degli déi ma anche loro consigliere. Il dio, vedendo Persefone che rifiutava il suo nuovo stato, decide di risvegliare in lei il ricordo della madre e della sua terra attraverso un frutto. Si parla anche di un certo Tantalo, vecchio che si trova dentro un lago e che per le colpe avute nella sua vita è destinato a rimanere lì. Sulle rive del lago vi sono alberi colmi di frutta che sono resi imprendibili dal vento. Inoltre l'acqua del lago si ritira ogni volta che il vecchio tenta di berla. Tantalo è condannato così alla fame e alla sete. Prosegue quindi il sacerdote Eumolpo: "…La dà a Persefone che si meraviglia, che si meraviglia e si stupisce di ritrovare, di ritrovare nella sua notte un richiamo della luce, della luce della terra, i bei colori del piacere. Eccola più fiduciosa e ridente che si abbandona al desiderio coglie la melagrana matura la morde…immediatamente Mercurio svanisce e Plutone sorride". Quest'episodio è molto simile a quello che vede protagonista Adamo ed Eva tentati dal Diavolo, sotto forma di serpente, con il frutto proibito, prima che fossero cacciati dal Paradiso. Nel caso di Persefone, il frutto della tentazione non è proprio una mela, ed inoltre l'intento di Plutone è ben diverso da quello di Lucifero. In ogni modo è un'altra volta chiara la presenza d'elementi cristiani in una storia pagana. Qui, Persefone ricorda la sua terra e in lei nasce la speranza e la fiducia in una nuova vita nell'Ade che riscopre più vicino alla terra: cogliendo il frutto di Mercurio avviene la consacrazione di Persefone come regina degli Inferi. Dopo il morso di Persefone, Mercurio porta a termine la sua opera e scompare mentre Plutone si compiace dell'evento. In seguito al morso, Persefone è confusa, non ricorda più nulla di dove si trova, che cosa ha fatto, e chiede aiuto alle sue "sorelle" (molto probabilmente riferendosi alle anime disperate piuttosto che alle ninfe). Queste rispondono alla sua richiesta d'aiuto, dicendo: "Se tu contemplassi il calice del narciso forse rivedresti i prati abbandonati e tua madre come accade quando sulla terra il mistero infernale ti apparve". Il calice sopra citato, che Persefone evidentemente possiede ancora, è la chiave che unisce la terra all'Aldilà; contemplandolo, ella potrà rivedere sua madre e tutto sembrerà come se non fosse mai stata rapita. "Circondatemi, proteggetemi, ombre fedeli. questo fiore dei prati, il più bello, solo resto della primavera che ho portato con me agli Inferi, se, per interrogarlo, mi chinassi su di esso, cosa potrebbe mostrarmi?" Ciò che il narciso potrebbe mostrare a Persefone è qualcosa che richiede una grande forza d'animo, senza la quale Persefone non ha il coraggio di agire. Per questo chiede aiuto alle sue "ombre fedeli" sicura che possano sostenerla nell'affrontare l'inverno a lei del tutto sconosciuto. Un inverno completamente estraneo a quel mondo di cui Persefone è la principessa: "Dove siete dunque fuggiti, profumi, canzoni, scorte dell'amore? Non vedo altro che foglie morte. I prati vuoti di fiori e i campi senza messi raccontano il rimpianto delle ridenti stagioni. Sul declivio dei monti, i flauti bucolici più non occupano i boschetti con le loro musiche chiare. Da tutto sembra sprigionarsi un lungo gemito perché tutto spera invano il ritorno della primavera." E contemplando il narciso, Persefone si accorge di come quel mondo che lei conosceva, colorito, pieno di fiori profumati, lo stesso di cui si parla nelle Bucoliche di Virgilio, in cui tutto volge al piacere, sia cambiato. Da quando lei è partita, sulla primavera calda e piena di vita ha preso il sopravvento un inverno freddo e morto. Le anime dell'Oltretomba chiedono alla ragazza cosa vede attraverso il calice del narciso, e lei così risponde: "…nei boschi notturni vedo mia madre errante, vestita di stracci chiedere ovunque di Persefone perduta". Persefone vede sua madre disperata che la sta cercando. "Attraverso le boscaglie, senza guida, senza strada, ella cammina, porta in mano una torcia. Rovi, ciottoli aguzzi, venti, tronchi nodosi, perché straziate la sua corsa dolorosa? Madre, non cercare più. Tua figlia che ti vede abita agli Inferi e non è più nulla per te. Ahimè… ah! Se almeno la mia parola smarrita potesse…" Gide accenna ad una torcia, con cui Demetra cerca sua figlia. Con molta probabilità è la stessa torcia con cui si accompagnava la celebrazione dei misteri Eleusini. La parte che segue, in cui è Eumolpo a parlare, si parla di come Demetra, sotto le spoglie di vecchia, venga ospitata dal re Seleuco presso il palazzo di Eleusi, e di come, per contraccambiare dell'ospitalità, la dea volle rendere Demofoonte immortale. Però bidogna porre una certa attenzione sulla frase "Demofoonte che deve diventare Trittolemo" perché i due sono fratelli, figli del re di Eleusi, Cereo, e la leggenda vuole che Demetra abbia cercato di rendere immortali entrambi, ma solo con il secondo vi riuscì. Infatti, per quanto concerne Demofoonte, Demetra lo lasciò bruciare nelle fiamme ("Sopra una culla di tizzoni e di fiamme vedo…vedo verso di lui Demetra chinarsi") in seguito a un inopportuno intervento della regina. Invece Trittolemo, ricevuti in dono chicchi di grano e un carro alato, ricevette l'incarico di insegnare nel mondo l'arte di arare e di seminare i campi. Rientrato in patria, divenne re di Eleusi e introdusse il culto di Demetra e di Persefone, Istituendo le Tesmoforie. Dopo la sua morte fece parte con le due dee della Triade Eleusina e sarebbe inoltre divenuto uno dei giudici degli inferi. Perciò è alquanto strano che Gide dica che Demofoonte e Trittolemo,alla fine, siano la stessa persona. Comunque è in Trittolemo, o Demofoonte, che Persefone affida la propria fiducia, certa che, diffondendo nel mondo l'arte di arare i campi, e quindi restituendo alla terra la sua primavera, ella potrà rinascere. Dice infatti Persefone: "…Salve, Demofoonte, in cui la mia anima spera! Grazie a te vedrò rifiorire la terra? Saprai insegnare l'aratura agli umani che dapprima mia madre ti ha insegnato". Il secondo atto si conclude con la volontà, unita a un'immensa speranza, di Persefone di abbandonare gli Inferi per ritornare sulla terra, dove c'è sua madre che la attende: "Demetra tu mi aspetti e le tue braccia sono aperte per accogliere infine la rinata tua figlia nel pieno sole che rende le ombre una meraviglia. Venite! Venite! Forziamo le porte della morte. No, l'oscuro Plutone non ci tratterrà. Rivedremo presto, agitate dai venti le cime degli alberi delicatamente oscillare…" Ma poi perché Persefone chiama Trittolemo sposo ("Oh mio sposo terrestre,radioso Trittolemo")? Forse perché secondo ciò che ci è pervenuto, dopo che Persefone ha trascorso sei mesi nell'Aldilà, ne deve passare altri sei sulla terra. Da questo suo continuo spostamento si determina il cambio delle stagioni. Quando si trova nell'Oltretomba, il suo sposo è Plutone, mentre sulla terra è Trittolemo. III. PERSEFONE RINATA Anche questa terza parte si apre con Eumolpo che parla: "E' così, ci racconta Omero, che lo sforzo di Demofoonte destituì Persefone a sua madre e alla terra la sua primavera. Tuttavia sulla collina che domina il presente e l'avvenire i Greci hanno costruito un tempio per Demetra che contempla un popolo gioioso venire. Trittolemo è presso di lei il cui falcetto riluce, e fedele il coro di ninfe lo segue". Egli si rifà nuovamente, come all' inizio, agli Inni Omerici, dove si parla della salvezza di Persefone ad opera di Demofoonte: con l'arrivo dell'agricoltura sulla terra automaticamente rinasce la primavera e con essa Persefone. Per celebrare l'evento, i Greci un tempio, il Tesmoforio, sulla collina Pnice, luogo dove si svolgevano le Tesmoforie. Ad Eumolpo risponde il coro questa volta impersonato dai partecipanti delle Tesmoforie; si parla di fiori primaverili, solitamente usati nelle sacre feste, delle porte infernali che si aprono, offrendo così a Persefone la libertà. Anche qui, come era gia successo in precedenza, Gide inserisce una componente di carattere cristiano, cioè la figura dell'Arcangelo (" …Arcangelo della morte riaccendi la tua fiaccola…") che ha in mano una fiaccola, la stessa dei Misteri Eleusini. Proserpina però non si è ancora resa conta di essere libera: "Ancora stento risvegliata Persefone meravigliata fuori dal sinistro recinto. Tu avanzi e come inebriata dalla notte, non sei ben certa di vivere ancora, e tuttavia vivi. L' ombra ancora ti circonda vacillante Persofone come ghermita da una rete". Al passaggio di Persefone la natura si risveglia come da un lungo letargo e si colora con tinte primaverili. Le ninfe sono consapevoli del fatto che con il ritorno della fanciulla sicuramente accadrà qualcosa di spiacevole, qualcosa di nuovo che cambierà la terra. Ed infatti è come se loro avessero paura degli inverni che si susseguiranno alla primavera. In ogni caso Proserina non è del tutto felice in quanto sa che ogni 6 mesi dovrà ritornare in quel luogo tenebroso, dove Plutone, suo sposo "infernale" la attende con ansia. Ma nel frattempo, si può rallegrare stando con Trittolemo, o Demofoonte che sarebbe il suo sposo "terrestre". Ma anche se il suo destino porta sofferenza, Proserpina non vuole assolutamente mancare la sua promessa di tornare nell'oltretomba, lei, ogni volta, si recherà spontaneamente dove il suo Plutone vive, spinta dall'amore che la lega a lui, e non dalla legge divina("Non ho bisogno di ordini e mi reco spontaneamente ove non tanto la legge ma il mio amore mi porta"). Tutta l'opera si conclude con Eumolpo e il coro "Così verso l'ombra sotterranea tu t'incammini a lenti passi, potatrice di torcia e regina di vasti paesi sonnolenti. Il tuo destino è di portare alle ombre un po' del chiarore del giorno, un rimedio ai loro mali senza numero. Bisogna, perché una primavera rinasca, che il grano acconsenta a morire sotto terra, per poi riapparire in messe d'oro per l'avvenire." Proserpina porta luce nel mondo tenebroso dell'Aldilà, porta speranza a coloro che sono costretti a vivere nel dolore eterno. Questo suo continuo trasferirsi da un "mondo" all'altro simboleggia il cambio delle stagioni. Bosi, Santamaria, V sez. D
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