Libro I Il mito di Proserpina compare anche nell'opera in tre libri: "De raptu Proserpinae", poema incompiuto di Claudiano. Claudiano nei versi 1- 4 espone la materia che tratterà Inferni raptoris equos adflataque curru/ Sidera Taenario caligantesque profundae/ Iunonis thalamos audaci prodere cantu/ mens concussa iubet. Gressus removete, profani Dopo l'invocazione ad Apollo, nei versi 5 e 6, Claudiano immagina di vedere il tempio in Eleusi scuotersi per la presenza del dio Apollo. Dal verso 11 segue una descrizione di Trittolemo, il quale viaggia portando il frumento di Cerere, con un carro guidato da serpenti che sollevano il collo. In lontananza c'è Ecate, una divinità degli Inferi con tre forme in compagnia di Iacco, figlio di Proserpina. La citazione ci induce a ritenere che nei primi venti versi Claudiano introduca la narrazione, parlando di fatti seguenti al ratto. Della figura di Iacco, Claudiano non dice nulla per questo restano dubbi sulla sua identità. Egli è in ogni caso presentato come un adolescente che con una torcia guida la processione danzando durante i misteri Eleusini. Appare, inoltre, con il capo cinto di edera e la camminata leggera. In ogni caso nessun autore e nessuna fonte da noi analizzata fa riferimento al presunto figlio di Proserpina. Solitamente è il dio che guida la processione degli iniziati ai Misteri Eleusini, ma esistono diverse tradizioni sulla sua personalità. Il suo nome è simile a uno di quelli di Dioniso, cioè Bacco.Quindi è talvolta considerato l'intermediario tra le dee eleusine e Dioniso. Altre volte appare come figlio di Persefone e Zeus ed è identificato come l'incarnazione di Zagreo. Era, compagna di Zeus, gelosa delle amanti del marito, decise di vendicarsi sul figlio. Ordinò così ai Titani di uccidere Zagreo. Il padre, giunto in seguito, lo rigenerò sotto il nome di Iacco. In alcuni testi è ritenuto marito di Demetra o figlio di Dioniso. Alcune volte Iacco e Bacco sono identificati e la dualità è un mistero. Spesso è il figlio di Demetra che accompagna la donna alla ricerca di Proserpina. Il ragazzo, con il riso, davanti ai gesti di Bacco, ha consolato la madre. Questa versione sembra essere la più adatta giacché Bacco nel testo di Claudiano porta una torcia, oggetto che accompagna Cerere durante la ricerca della figlia. Dal verso 20 al 35 c'è un'invocazione alle divinità infernali, e l'autore fornisce un elenco breve di tutti gli eventi che causarono il ratto. Di, quibus innumerum vacui famulantur Averni vulgus iners, opibus quorum donatur avaris quidquid in orbe perit, quos Styx liventibus ambit interfusa vadis et quos fumantia torquens aequora gurgitibus Phlegethon perlustrat anhelis; 25vos mihi sacrarum penetralia pandite rerum / et vestri secreta poli: qua lampade Ditem/ flexit Amor; quo ducta ferox Proserpina raptu / possedit dotale Chaos quantasque per oras/ sollicito genetrix erraverit anxia cursu; / 30unde datae populis fruges et glande relicta/ cesserit inventis Dodonia quercus aristis./ Dux Erebi quondam tumidas exarsit in iras/ proelia moturus superis, quod solus egeret/ conubiis sterilesque diu consumeret annos,/ 35impatiens nescire torum nullasque mariti/ Dal verso 20 al verso 24 sono elencate le caratteristiche delle divinità infernali; a queste si inchina l'umanità, a queste, circondate da fiumi infernali come Stige e Flagetonte, l'umanità affida ciò che muore sulla terra. Nel verso 25 l'autore si chiede come Amore abbia piegato Dite, la ragione del ratto e le regioni che la madre visita in cerca di Proserpina. Qua lampade Ditem/ flexit Amor; quo ducta ferox Proserpina raptu/possedit dotale Chaos quantasque per oras/ sollicito genetrix erraverit anxia cursu. ( vv.26-29). con quale fiamma/ Amore piegò Dite; per quale violenza l'altera Proserpina ebbe il Caos /come dote; in quante regioni/ errò disperata sua madre in corsa affannosa Il Dio delle Tenebre era senza nozze a differenza d'altre divinità e aveva così scelto di trovare una moglie e divenire padre. [ Dux Erebi quondam tumidas exarsit in iras/proelia motorus superis, quod solus egeret/ conubiis sterilisque diu consumeret annos (vv.32-34) il signore dell'Erebo un giorno avvampò di torva ira/ pronto a far guerra ai Superi, perché egli solo era privo/ di nozze e consumava sterili gli anni Nasce così una sommossa tra divinità: gli dei accorrono e si schierano contro Dite, le Parche invitano con alte grida il sovrano a chiedere la molgie a Giove stesso " Posce Iovem; dabitur coniunx" (= chiedila a Giove, avrai la sposa). In seguito Plutone ordina di trovare Cellenio, un dio messaggero perché parli a Giove. " Arcade dio in comune ai Superi e agli Inferi, tu sei l'unico a poter vedere i due mondi. Vai velocemente e riferisci le mie parole a Giove: " Secondo te non basta se ho il mondo informe, senza la dolce luce, se ho avuto il terzo svantaggio del sorteggio mentre tu sei circondato dalle Orse e dalle stelle dello Zodiaco? Mi privi anche del matrimonio? Anfitrite abbraccia Nettuno; quando tu sei stanco sei accolto da Giunone. Narrerò le tue storie con Latona, con Cerere o con Temi potente? Tu hai ogni libertà di generare e i tuoi figli ti fanno onore. Io invece al buio, desolato, come consolerò i pensieri spietati senza figli? Non sopporterò la pace per troppo tempo. Giuro per il buio e per la terribile palude, se non accetti la mia richiesta io sconvolgerò il Tartaro, permetterò a Saturno di liberarsi, coprirò la luce e il cielo diventerà come il mondo oscuro >>. Questo è il dialogo minaccioso di Plutone, in cui si evidenzia la sua volontà di nozze. Claudiano, rispetto agli altri autori, ci fa capire che Plutone non cerca Proserpina in particolare, ma una compagna e un figlio. Questo è importante perché si potrebbe attribuire la colpa del ratto ad Ade; secondo Claudiano, invece, anche Giove ha le sue responsabilità giacché affida per primo la figlia al fratello. Infatti, nei versi seguenti si parla delle sue decisioni: egli si domanda quale sia quella ragazza disposta a passare nell'Averno e a rinunciare alla luce. Alla fine di questi ragionamenti trova una risposta sicura e pensa a Cerere, la divinità di Enna. Proprio lei ha l'unica figlia e Lucina non gli ha permesso altri figli perché il suo grembo, stanco dopo Proserpina, era sterile. Questo particolare ci fa comprendere che Iacco non può essere figlio di Demetra, essendo Prserpina unica. Ma Cerere è superba, è protettiva e segue la figlia. Per Proserpina è giunta però l'età delle nozze e il gruppo di innamorati spera nella sua scelta: Marte è bravo con lo scudo, Febo con l'arco, Marte regala la catena di monti su cui abita, Febo dona il suo altare, la città in cui è nato e la sede del suo oracolo. Inoltre Giunone e Latona la richiedono come nuora. Cerere però rifiuta queste domande e, per tema di un rapimento, nasconde Proserpina in Sicilia e affida la ragazza a Lari. Fino al verso 142 si parla quindi della condizione di paura da parte di Cerere e in seguito l'autore descrive la Sicilia. In questa regione Demetra ha nascosto la figlia per proteggerla. Intanto lei si reca in Frigia a capo dei draghi che rompono le nuvole. Sono descritti nel testo e si afferma che hanno una cresta a coprire la fronte, disegni sul dorso e il rosso tra le squame. Queste passano toccando i terreni e rendendoli fertili. L'Etna e la Sicilia sono dietro di lei. Dal v. 193 si parla delle paure di Cerere e delle sue parole. Aveva spesso previsto la sofferenza piangendo e queste sono le sue parole prima di lasciare la Sicilia: ["Salve, gratissima tellus, / quam nos praetulimus caelo, cui gaudia nostri/ sanguinis et caros uteri commendo labores./ Praemia digna manent: nollos patiere ligones/ et nullo rigidi versabere vomeris ictu./Sponte tuus florebit ager; cessante iuvenco/ ditior oblatas mirabitur incola messes."=ti saluto, terra amatissima,/ che ho preferito al cielo: a te affido la gioia/ della mia vita e il dolce peso del grembo./ Un premio adeguato ti destino: non subirai la marra/ né sarai sconvolta dal morso del duro vomere./ Spontanei fioriranno i campi e tra buoi pigri/ ricco il colono ammirerà le generose messi (vv.194-200) ] Dal v. 200 con cui terminano le sue parole, si parla del tempio di Cerere. La divinità con i serpenti tocca l'Ida dove sta la sua sede con il tempio; qui si sentono canti, flauti e ululati. Quando giunge la dea terminano i canti e tutti i suoni. Giove vede tutto e lo spiega a Venere. Queste sono le sue parole: "A te, o Venere, dico le mie intenzioni. E' da molto tempo che Proserpina dovrebbe sposare il re dell'Averno come comanda Atropo e come vuole Temi. Ora che Cerere non è qui è il momento di fare tutto. Vai in Sicilia e nel mattino convinci la ragazza a giocare nei campi". Venere cerca di affrettare gli ordini e si reca alla reggia di Cerere. Qui Proserpina, mentre canta, disegna alcune vicende e ad un tratto inizia a piangere, come se prevedesse il suo rapimento. Quando sente le altre divinità diventa rossa e interrompe la sua attività.Intanto Plutone prepara i cavalli che Claudiano nomina. Orphnaeus crudele micans Aethonque sagitta/ ocior et Stygii sublimis gloria Nycteus/ armenti Ditisque nota signatus Alastor./ Stabant ante fores iuncti saevumque fremebant/ crastina venturae gaudia praedae [.=ORFNEO dall'occhio crudele, ETONE più rapido/ della saetta, NITTEO alta gloria dell'armento/ stigio, ALASTORE distinto dal segno di Dite, / stavano aggiogati alla porta e orribilmente/ fremevanotesi alla gloria della vicina preda. (vv.283-287.). Nel secondo libro del "De raptu Proserpinae", Claudiano inserisce un proemio che non sembra attinente con il resto della storia. Il racconto ricomincia quando Proserpina dimentica dei consigli della madre, avviandosi per le valli, in compagnia di dee e ninfe. "Prima dolo gaudens et tanto concita voto/ it venus et raptus metitur corde futuros"(11-12) Lieta della frode e animata da tanto progetto, precede Venere e tra se medita il rapimento imminente. Proserpina non era meno bella di Pallade e Febe, sue compagne. Aveva una veste fissata in alto da un liscio diaspro e ricamata la nascita d'Iperione, Sole e Luna. Era l'orgoglio della madre ma presto ne avrebbe costituito causa di dolore. Vestita così elegante, Proserpina avanzava per le valli; ad accompagnarla ci sono le ninfe delle acque Siciliane, dette Naiadi, fra le quali spicca Ciane. Intanto Enna, madre dei fiori, parla a Zefiro, padre della primavera e lo sollecita ad essere propizio così che le ninfe possano raccogliere il frutto dei suoi germogli. E così Zefiro gonfia la terra vicino al lago di Pergo che partorisce verdure. Sanguineo splendore rosas,vaccinia nigro Imbuit et dulci violas ferrugine pingit. Hortatur Cytherea legant. "Nunc ite….carpit signa sua" (vv. 119-124) "Egli di sanguigno splendore impregna le rose, di nero i giacinti e dipinge le viole di tenero indaco". (92-93) Citerea le esorta a raccogliere. "Andate, sorelle, finché l'aria stilla rugiada ai primi raggi, finché Lucifero a me caro bagna i biondi campi,guidato dall' umido corsiero."Così dice e coglie il simbolo del suo pianto. Da notare i colori usati per descrivere i fiori. Le rose rosso sangue esprimono vita e vivacità. I giacinti sono invece neri e cupi e contrastano con le rose, perché sono entrambi colori forti.Le viole in contrapposizione agli altri fiori sono di un tenero indaco; "ferrugine" esprime una certa tristezza, ma la forza del colore è smorzata dal "dulci". Questi contrasti fra colori potrebbero riferirsi alla contrapposizione esistente fra il buio dell'inferno e la felicità, che avrà Proserpina andando a vivere nel regno dei morti. Inoltre, i molti riferimenti a fiori: rose, giacinti, viole, i narcisi, inoltre, simboleggiano la verginità e la purezza della giovane. Venere spinge le compagne a raccogliere e lei per prima afferra il simbolo del suo pianto.Questo è stato identificato con l'anemone tinto del sangue d'Adone o la rosa colorata dal sangue di Venere stessa. Aestuat ante alias avido fervore legendi Frugiferae spes una deae:nunc vimine texto ridentes calathos spoliis agrestibus implet;nunc sociat flores seseque ignara coronat, augurium fatale tori"(137-141V). Colei che è la speranza della dea delle messi, più delle amiche arde del vivo desiderio di raccogliere.Ora lieti canestri di vinchi intrecciati riempie di agreste bottino;ora fiori congiunge e ignara incorona se stessa, fatale segno di nozze. "Colei che è la speranza della dea delle messi" è Proserpina. La fanciulla incorona se stessa con splendidi fiori, segno del suo imminente matrimonio. Il suo rapimento era stato previsto, ma era inevitabile poiché opera del destino. Infatti, il ratto era stato voluto da Giove e organizzato grazie alla complicità di Venere (Citerèa). Solo la dea Pafo comprende l'oscuro disastro (ora Pafo è una città dell'isola di Cipro, sacra a Venere). Infatti, il re delle anime già cercava una strada sotto la terra, e, con l'errante cocchio, bramava di uscire nel mondo di Giove suo fratello. Sic tertius heres saturni latebrosa vagis rimatur habenis devia,fraternum cupiens exire sub orbem Così il terzo erede di saturno con l'errante cocchio esplora le solitarie latebre,desiderando di uscire al fraterno mondo.vv 167-169 Et longa solitos caligine pasci Terruit orbis equos. "Ma il mondo atterrì i cavalli nati a pascersi in eterna caligine"(193-194) I cavalli, quindi, tentarono di tornare nel buio mondo, ma una volta spronati piombarono più veementi di un fiume dopo la bufera. Sanguine frena calent; corrumpit spiritus auras letifer;infectae pumis vitiantur harenae. Vv. 202-203 Di sangue è caldo il morso,il pestifero alito guasta l'aria,corrotto dalla bava si infetta il suolo. Claudiano pur utilizzando parole semplici e spesso comuni, riesce ad esprimere emozioni particolari. In questi versi ad esempio trasmette disgusto e pone l'accento sull'inferno come luogo cupo e triste.Gli inferi però sono visti da Claudiano (l'ultimo dei poeti pagani) come regno dei morti, non solo per i peccatori, ma anche per coloro che avevano vissuto nella giustizia e nel bene comune, i quali, una volta morti però, si recavano presso i Campi Elisi. Quando Plutone esce dalla terra fuggono le Ninfe. Sul Cocchio è rapita Proserpina e chiede aiuto alle dee. Pallade è esasperata dall'offesa spietata del rapimento e la verginità la spinge alle armi: "tua cur sede relicta Audes caelum incestare quadrigis?…(216-217) "Fratris linque domos ,alienam desere sortem; nocte tua contentus abi.Quid viva sepultis admisces?nostrum quid proteris advena mundum?"(220-222) Perché abbandoni il tuo regno e osi violare il cielo con l'infera quadriga? Vattene dalla casa del fratello, lascia l'altrui retaggio, parti contento del tuo buio. Perché confondi la vita con i sepolcri? Perché straniero calpesti il nostro mondo? E così dicendo, ella scaglia una lancia che avrebbe colpito il cocchio se non fosse stata fermata da una rossa saetta di Giove. Quindi Pallade piangendo depone l'arco e saluta Proserpina,conscia che Giove non aveva permesso di salvarla.E come lei, tutte le dee si rassegnano all'ormai compiuto rapimento. (231-245) Proserpina parla:247-272 Inserire e testo Da tali parole è scosso plutone che è vinto dalle belle lacrime e sente lo spietato fremito del primo amore. Plutone parla(277-306) Inserire e testo Dette queste parole Plutone sprona i cavalli festosi ed entra nel Tartaro, dove tutte le stirpi si raccolgono in massa a guardare la bella sposa. Compaiono un gruppo di servitori che si occupano dei cavalli, altri alzano il baldacchino, altri ricoprono la soglia di fronde e sollevano sopra il letto adorni drappi. Ci sono le donne pie dell'Eliso, tutte adorne a festa. L'Erbo concede che l'eterna notte si diradi, l'empio tartaro respira nella tregua delle pene, la ruota non tortura Issione, l'acqua non sfugge alle labbra di Tanlao, Tizio scopre nuovi iugeri di campo inaridito, l'avvoltoio si duole che non ricrescano le dilaniate fibre, le Eumenidi bevendo vino accendono le festose torce, l'Amsanto trattenne i vapori,la fonte Acherontea versa latte e il Cocito traboccha di dolce vino.La morte non si aggira più per il mondo e prosperano le città. (307-360). Accanto alla vergine c'è la Notte dallo stellato manto che toccando il letto consacra gli auspici figli. (8361-364) "Iam felix oritur proles;iam laeta futuros expectat natura deos.Nova numina rebus addite et optatos Cereri proferte nepotes" (370-372). Già nasce una prole beata, e lieta la Natura attende i prossimi dei: nuove divinità aggiungete al mondo e generate a Cerere gli attesi nipoti. Così il secondo libro si conclude, con la speranza di una prole che aumenti la schiera degli dei. Libro III "Iuppiter interea cinctam Thaumantida nimbis/ Ire iubet totoque deos arcessere mundo." Così comincia il libro III, con Giove che ordina a Taumantide, cioè a Iride,messaggera degli dei, figlia del dio marino Tarmante, di convocare gli dei da ogni parte del mondo. All'appello rispondono tutte quante le divinità, da quelle più importanti a quelle minori, come gli antichi Fiumi. Così inizia questa assemblea speciale e Giove prende subito la parola: "Abduxere meas iterum mortalia curas/ Iam pridem neglecta mihi, Saturnia postquam/ Otia et ignavi senium cognovimus aevi…" Il re dell'Olimpo subito dice che dietro al rapimento di Persefone vi è un motivo ben diverso da quello che molti pensano. Giove ha agito in tale maniera per spronare i popoli e poi destare in loro un'industre intelligenza. Gli uomini infatti vivevano una vita all'insegna dell'ozio e la scomparsa di Persefone avrebbe presentato per loro una forma di incitamento.Questo perché al rapimento della fanciulla sarebbe corrisposto sulla terra l'inverno, periodo certamente lungo e pieno di impervie, difficile da affrontare per persone abituate invece alla tranquillità e all'armonia. Il gesto di Giove è quindi da interpretare non come qualcosa di sadico, bensì come un aiuto, come un'opera a fin di bene. Bisogna però precisare che nel piano di Giove, oltre al rapimento di Persefone, rientra anche la estenuante ricerca di Cerere: "Atque adeo Cererem, quae nunc ignara malorum/ Verberat Idaeos torva cum matre leones,/ Per mare, per terras avido discorrere luctu…" La scomparsa della figlia tormenta Demetra anche durante i suoi sogni, in cui la dea ha vari presagi negativi come lo "steriles ornos" cioè il frassino, che nella antica simbologia onirica era un segno sinistro perché è un albero senza frutti. Oltre questa, Demetra ha altre visioni, ma una tra tutte la sgomenta in modo particolare: ella vede la propria figlia che le parla disperatamente: "Heu dira parens nataeque peremptae/ Inmemor! Heu fulvas animo transgressa leaenas!/ Tantane te nostri tenuere oblivia? Tantum/ Unica despicior?" Il tono con cui Persefone parla alla madre è chiaramente lamentevole, visto che la ragazza è spaventata tanto quanto lo è Demetra. Nel sogno Persefone chiede aiuto alla madre, le chiede di riportarla alla luce: "…oro, miseram defende cavernis/ Inque superna ferer." Ma come Demetra cerca di toccare la figlia, subito il sogno termina e si torna alla triste realtà. "…attonitus tabulo ceu pastor inani,/ Cui pecus aut rabies Peonorum inopina leonum/ Aut populatrices infestavere catervae;/ Serus at ille redit vastataque pascua lustrans/ Non responsuros ciet imploratque iuvencos." Quando Demetra torna nella sua casa in Sicilia, e trova tutte le stanze vuote, ripensa a quando la figura gioiosa della figlia rallegrava l'atmosfera e ora che non c'è invano ella la chiama, sperando in una risposta. Proprio come un pastore che guarda sgomento la stalla vuota, dopo l'inattesa ferocia dei leoni africani o una masnada di perdoni ha assalito il gregge; tardi egli torna e percorrendo i pascoli devastati chiama, implora i suoi giovenchi che non rispondono. Ma nella casa, Demetra trova Elettra, nutrice della figlia Persefone, colei che si era presa cura della piccola durante i suoi primi anni di vita (…matre quae sedula nutrix…). "Contremuit nutrix, maerorque pudori/ Cedit, et aspectus miserae non ferre parentis/ Emptum morte velit…" Il dolore per la scomparsa di Persefone ha scosso tutti, persino Elettra, la quale soffre nel vedere Demetra affranta. Quando Demetra chiede alla nutrice cosa fosse successo alla figlia ella racconta che per molto tempo Persefone era rimasta a casa con le Ninfe e le Sirene come le era stato comandato. Un giorno però Venere, accompagnata da Febe e Minerva, giunge alla casa e invita Persefone a uscire per i prati trasgredendo le regole della madre. Cosi la fanciulla convinta scappa via. "Sed postquam medio sol altior institit axi,/ Ecce polum nox foeda rapit tremefactaque nutat/ Insula cornipedum pulsu strepituque rotarum. Nosse nec aurigam licuit: seu mortifer ille/ Seu mors ipsa fuit." Arriva un carro e dietro di lui la notte. Quando torna la luce e il carro sparisce, Persefone non c'è più e le dee fuggono via. Le Ninfe corrono subito verso una loro compagna, Ciane, che era vicina al luogo in cui era successo il fatto. Incredibilmente Ciane non riesce a parlare e si trasforma in un fiume: "…tacito sed laesa veneno/ Solvitur in laticem: subrepit crinibus umor;/ Liquitur in roremque pedes et brachia manant/ Nostraque mox lambit vestigia perspicuus fons." Dopo aver sentito il racconto di Elettra, Demetra si precipita infuriata sull'Olimpo e comincia ad insultare gli dei, soprattutto Venere Citerea, che aveva ingannato la figlia. Le divinità non rispondono seguendo il comando di Giove. Tutto ciò che arriva alle orecchie di Demetra è il loro pianto. La dea allora si impietosisce e chiede scusa per le sue ingiurie: "Ignoscite, si quid/ Intumuit pietas, si quid flagrantius actum,/ Quam miseros decuit. Supplex miserandaque vestris/ Advolvor genibus…" Demetra chiede invano di vedere la figlia e alla fine decide di non darsi pace e di percorrere ogni angolo della terra finchè non troverà Persefone. Così sale sul suo Etna e si prepara alla ricerca. Nei versi seguenti viene descritto il bosco sacro dell'Etna, dove l'autore colloca la vittoria di Giove sui Giganti e sui Titani. Il bosco è così impervio che anche i Ciclopi che lo abitano osano portarvi il gregge a pascolare. Demetra comunque non si ferma davanti a questo ostacolo e abbatte due alberi che utilizzerà come torce per la sua ricerca. Poi, con i tronchi appena presi, scende nel vulcano e accende le chiome dei due alberi ostruendo il passaggio della lava e facendo tremare la montagna. "Iamque soporiferas nocturna silentia terris/ Explicuere vices: laniato pectore longas/ Inchoat illa vias…" Durante il cammino Demetra non può fare a meno di pensare alla sua povera figlia e a chi potrebbe essere il suo rapitore. Da perfino la colpa a sé stessa perché era immersa nell'ozio mentre la figlia veniva rapita. Ragionando su quale possa essere il nascondiglio dove è stata portata Persefone, Demetra prosegue il suo viaggio. "Quocumque it in aequore, fulvis/ Adnatat umbra fretis extremaque lucis imago/ Italiam Libyamque ferit…" "Antra procul Scyllaea petit canibusque reductis/ Pars stupefacta silet, pars nondum exterrita latrat." De Pari, Guitti, IV sez. D Bosi, Marini, Santamaria V sez. D
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